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Le origini della lingua italiana

Guai a parlar male di Firenze a un fiorentino, potreste innescare una discussione molto accesa. I fiorentini da sempre sono noti per il loro spirito patriottico, orgogliosi della propria città e delle proprie origini. D’altra parte, non si può dar loro tutti i torti, considerando che in passato Firenze ha davvero svolto un ruolo chiave nello sviluppo delle arti e della cultura in Italia. Non sorprende quindi che sia stato determinante il suo contributo persino nell’affermazione della lingua italiana stessa.

 

Origini latine

L'italiano, come è noto, deriva originariamente dal latino che fu imposto come lingua ufficiale dall’impero Romano. Nonostante esistesse una forma di latino standard, all’interno del vasto impero si erano andate a creare via via diverse tipologie di latino parlato che cambiavano di regione in regione.

Dal V sec. d.C., dopo la caduta dell’Impero Romano, il latino classico rimase in uso esclusivamente per la scrittura, mentre dalle numerose forme di latino parlato - in Italia, così come nelle altre parti dell’ex-impero – si svilupparono in seguito diversi tipi di lingue.

 

Dal fiorentino all'italiano

Nel 1300 Firenze era una potenza economica e politica affermata, nonché fondamentale centro culturale di Italia, con artisti e scrittori che andavano fissando standard sempre più alti per il mondo dell’arte.

Opere come la Commedia di Dante, il Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio, ebbero grandissimo successo e divennero ben presto il modello linguistico da seguire non solo per gli altri fiorentini e toscani, ma per gli scrittori in tutta Italia.

L’invenzione della stampa favorì la circolazione di libri, ed il volgare fiorentino si guadagnò così tanto prestigio da esser preso a modello anche per la lingua parlata.

Fu nel Cinquecento che si indagò più a fondo la “questione della lingua”, portando ad una definizione di regola linguistica che vide il fiorentino diventare la base dell’italiano che conosciamo oggi.

Il discorso per quanto riguarda la lingua parlata sarà un po’ diverso invece. I dialetti moderni, che derivano dagli altri volgari presenti sul territorio italiano, continueranno ad essere molti ed eterogenei, tuttavia fondamentali. Rimarranno infatti la principale forma di comunicazione fino alla metà del Novecento, poiché l’italiano accademico si impiegava quasi esclusivamente nella lingua scritta.

 

Determinante contributo alla codificazione dell’italiano scritto, fu quello del cardinale Pietro Bembo attraverso la sua pubblicazione del 1525 intitolata “Prose della volgar lingua”.

Qui il cardinale, nonostante le sue origini veneziane, indica come linguaggio letterario per eccellenza proprio il fiorentino trecentesco, ispirato al Decameron di Boccaccio.

Da notare come nonostante i modelli principali per la lingua italiana fossero Dante, Petrarca e Boccaccio, quello di Dante venne piano piano escluso poiché tendeva a un pluristilismo difficilmente codificabile in regole fisse.

Il modello del fiorentino letterario indicato da Pietro Bembo trionfa ancora quasi cent’anni dopo, nel Vocabolario della Crusca, la cui prima edizione su pubblicata nel 1612.

 

Nell’800 è invece Manzoni a riproporre come riferimento la lingua parlata dai fiorentini. Addirittura, in una relazione scritta del 1868, propone l'impiego di maestri toscani nelle scuole e viaggi in Toscana per tutti gli studenti.

Infine, si riconfermò il fiorentino trecentesco come matrice della lingua italiana nel Novecento, quando si ebbe l'omogeneizzazione e affermazione progressiva dell’italiano odierno.

 

Dopotutto, possiamo consentire ai fiorentini di vantarsi un po’, no?

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