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Oltre il Rinascimento a Firenze - Il Nuovo Archivio di Stato, una polemica senza fine

I fiorentini sono famosi per essere polemici e non andare mai d’accordo, fin dai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini. Questo lato del carattere cittadino è stato storicamente molto negativo perché tutte le iniziative finiscono nel nulla tra discussioni e liti e, se vanno a buon fine, lasciano uno strascico di polemiche a non finire.

Gli archivi fiorentini sono un patrimonio culturale immenso, data l’importanza storica della città, ed una di queste dispute, anche se ormai lontana, riguarda proprio il nuovo Archivio di Stato.
Fondato nel 1852 dal Granduca Leopoldo II di Toscana, l'archivio è “ricco di 600 fondi, per un totale di oltre 75 km di documenti, dall’VIII secolo ai giorni nostri, delle più diverse tipologie: carteggi, diplomi, codici miniati, statuti, disegni, carte nautiche e geografiche che recano iscritta la memoria storica delle vicende politiche, sociali, culturali e artistiche di Firenze e della Toscana e che fanno dell’Archivio di Stato di Firenze un punto di riferimento per i ricercatori dei tutto il mondo” (dal sito ufficiale dell’Archivio di Stato). Oltre a questi fondi ci sono enormi quantità di materiali amministrativi, economici, catasti, lasciti, archivi notarili e molto altro.

La sede originaria era nel Palazzo degli Uffizi insieme al museo, e molti materiali erano conservati nei depositi sotterranei e nei piani bassi. Tutti sapevano che l’Arno periodicamente e inevitabilmente inonda la città e con l’alluvione del 1966 i danni furono enormi. Nonostante i precedenti, nessuno ci aveva pensato. Questo non riguardò solo gli Uffizi, anche la Biblioteca Nazionale, una delle più importanti d’Italia, si trova proprio sull’Arno con tutti i suoi depositi sotterranei pieni di libri e documenti. Anche lì fu una catastrofe.

Finalmente negli anni ’80 si decise di trasferire l’Archivio e costruire una nuova sede, moderna e sicura. Si scelse l'area tra Piazza Beccaria, viale della Giovane Italia e viale Amendola.
Certo la storia di quel luogo non era di buon auspicio. Fino al 1865 ci passavano le mura, demolite in quegli anni nel quadro del piano urbanistico dell’architetto Giuseppe Poggi, legato al progetto "Firenze capitale". Ma il luogo era lugubre e “maledetto” perché subito fuori Porta alla Croce (ancora oggi al centro di Piazza Beccaria) dal 1531 al 1759 c’era il Prato della Giustizia, dove venivano eseguite le condanne capitali dei condannati a morte, tramite taglio della testa, proprio vicino a dove ora sorge l’Archivio di Stato.

Dopo la demolizione delle mura, nel piano urbanistico del Poggi il terreno fino all'Arno era destinato a prato pubblico . Invece in una parte venne subito costruita una caserma per i Carabinieri, ancora esistente. L’altra parte rimase a prato fino al 1936, quando venne costruita la Casa della Gioventù Italiana del Littorio (GIL), l’organizzazione fascista dei giovani dai 6 ai 21 anni. La struttura venne subito chiamata Casa dei Balilla, dal nome dei giovani dagli 8 ai 14 anni inquadrati nell’organizzazione giovanile fascista Opera Nazionale Balilla, i balilla appunto. Il termine “balilla” era ispirato da un episodio della rivolta dei genovesi contro l’occupazione austriaca, quando il giovane Giovan Battista Perasso, detto “balilla”, incitò la folla alla rivolta nel 1746.  Realizzato
dall’architetto Aurelio Cetica, la Casa del Balilla era un grande edificio triangolare dagli angoli smussati, con due bracci, uno per le organizzazioni maschili e uno per le femminili, un grande cortile con campi sportivi, palestre e piscina. Architettura razionalista e funzionale, molto geometrica senza particolari elementi decorativi e monumentali. Seguiva il concetto dell’epoca: l’estetica subordinata allo scopo funzionale. Colori chiari, molto uso del marmo nelle cornici e nelle superfici, abbastanza leggero. La facciata verso Piazza Beccaria era purtroppo rovinata da dei fasci littori di marmo, rimossi subito alla fine della guerra. Il perimetro dell’edificio dall’alto ricordava una D, la prima lettera di DUX  e pare che il progetto originale, poi modificato, prevedesse l’intera parola.
Come sempre, i giudizi a riguardo furono molto diversi. Fu definito bellissimo, esaltante, un esempio di architettura funzionale, ma anche modesto, squallido, un esempio di monumentalismo di propaganda. In sua lode veniva citata addirittura un’influenza di Erich Mendelsohn, uno dei più importanti architetti tedeschi, autore della Torre Einstein di Potsdam, opera-simbolo dell’espressionismo.
Dopo la guerra l’edificio fu usato come piscina, cinema e teatro di varietà fino al 1975, quando, venne demolito per fare posto all’Archivio di Stato, costruito dall’architetto Italo Gamberini, la cui opera più citata resta il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci a Prato. La decisione venne presa dalla nuova giunta del Comune di Firenze eletta nel 1975, guidata dal comunista Elio Gabbuggiani, che non ebbe né dubbi né esitazioni.

Il nuovo edificio dell'Archivio di Stato fu costruito in cemento armato e rivestito di pietra artificiale fatta di lastre di cemento mescolato a materiali coloranti marroni, con infissi e altre strutture in ferro scuro. Sicuramente molto efficiente, moderno e finalmente al sicuro delle alluvioni e degli incendi, ma dall'aspetto pesante, simile a un'istallazione militare, impressione dovuta alle masse di cemento grezzo e alle strutture in ferro dai colori scuri.
Sul giudizio negativo ha pesato molto l’opinione di Antonio Paolucci, importante storico dell’arte e a lungo Sovrintendente alle Belle Arti della Provincia di Firenze, molto amato in città. In un articolo del 2 Febbraio 2001 sul giornale La Repubblica, Paolucci rimpiange il palazzo “distrutto solo per ragioni politiche, di puro odio ideologico: perché era fascista e perché era anche bello. Certo più bello della triste costruzione tirata su in fretta subito dopo per ospitare l’Archivio di Stato destinato a lasciare gli Uffizi”.
Certo è difficile giudicare se sia giusto mantenere un edificio solo perché testimonia di una certa epoca e ha una forte identità stilistica. Gli orientamenti moderni sono impostati a conservare queste strutture, anche se di gusto e significato lontano da quello contemporaneo.
Se la giunta comunale avesse dovuto prendere la decisione oggi, sicuramente la Casa del Balilla non sarebbe stata demolita e l’Archivio di Stato sarebbe stato fatto altrove.


Il lato posteriore dell'Archivio di Stato su Viale Amendola

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